I GIORNI DELL'ABBANDONO DI ELENA FERRANTE – RECENSIONE

 

Copertina del romanzo di Elena Ferrante I giorni dell'abbandono


Ci sono libri che non ti lasciano il tempo di respirare, che ti scaraventano senza filtri dentro l’urto emotivo di chi racconta. I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante è uno di questi. Non un romanzo da leggere in silenzio e compostezza, ma una ferita aperta che pulsa, un grido che non si lascia addomesticare.


La protagonista, Olga, viene travolta da un evento che è insieme banale e devastante: il marito la lascia, dopo quindici anni di matrimonio, per una donna più giovane. Quello che potrebbe sembrare il punto di partenza di mille altri romanzi, Ferrante lo trasforma in un vortice di dolore, rabbia e disfacimento psichico che trascina il lettore senza possibilità di fuga.

Olga non è un’eroina composta, non è la “donna forte” che subito si rialza. È un corpo che si disgrega, una mente che si frantuma, una voce che non risparmia nulla di sé. Il suo linguaggio è diretto, crudo, a volte quasi insopportabile, eppure è proprio questa intensità a renderla vera. Ferrante non addolcisce nulla: racconta l’umiliazione, la solitudine, il desiderio sessuale vissuto come bisogno disperato, l’odio materno che spaventa, la perdita del controllo.

Leggere I giorni dell’abbandono significa confrontarsi con il lato oscuro della separazione, con ciò che resta quando la facciata della vita “ordinata” crolla. È un romanzo che mette a disagio, che non consola, ma che proprio per questo riesce a dirci qualcosa di autentico sull’amore, sulla dipendenza affettiva, sulla difficoltà di rinascere dalle macerie.

Lo stile di Ferrante è asciutto e tagliente, eppure capace di accensioni liriche improvvise. La scrittura diventa essa stessa il campo di battaglia: frasi che si accavallano, immagini che bruciano, ritmo che asseconda la caduta e la lenta risalita.

Non è un libro per tutti, perché non fa sconti: chi cerca una narrazione rassicurante non la troverà. Ma chi ha il coraggio di affrontarlo scoprirà un romanzo necessario, che mostra la crudeltà della perdita e, nello stesso tempo, la possibilità di resistere.

Ferrante ci ricorda che dall’abbandono non si esce indenni, ma si può comunque uscire. Con nuove cicatrici, certo, ma anche con una nuova consapevolezza.

📌 Se anche tu hai attraversato i tuoi “giorni dell’abbandono”, lascia che questo libro ti parli. Leggilo, odiarlo o amarlo sarà inevitabile. E se ti ha scosso come ha scosso me, condividi questa recensione: le ferite fanno meno paura quando impariamo a mostrarle.