In questo orizzonte si collocano anche le mie opere. Del sangue non mi importa e L’odore della felicità non nascono per raccontare soltanto una storia, ma per aprire uno spazio di confronto. Nei miei romanzi ho voluto affrontare temi che appartengono a molti: il dolore che segna l’infanzia, le cicatrici che il tempo non cancella, la forza che ci spinge a rialzarci, ma anche la possibilità dell’amore, quello che non giudica e non pretende di essere perfetto.
Il percorso dei miei personaggi è spesso tormentato, ma riflette la vita reale, fatta di cadute e rinascite. Scrivere per me significa tendere un filo tra la mia esperienza e quella di chi legge: non c’è consolazione facile, ma la consapevolezza che non siamo soli nelle nostre battaglie interiori.
Ogni lettore, aprendo un libro, cerca qualcosa di diverso: chi desidera emozionarsi, chi cerca risposte, chi semplicemente vuole sentirsi meno solo. La letteratura ha il potere di farci riconoscere in storie che non sono le nostre e, allo stesso tempo, di restituirci un’immagine più autentica di noi stessi.
Forse è proprio questa la forza più grande dei romanzi: non ci dicono cosa pensare, ma ci invitano a guardare dentro di noi, a porci domande. In fondo, ogni libro è un viaggio. Alcuni terminano tra le ultime righe, altri continuano a vivere nella nostra memoria, accompagnandoci per molto tempo.
Scrivere e leggere, dunque, non sono due azioni distinte, ma due lati dello stesso gesto: condividere. Io affido le mie parole alla carta con l’auspicio che qualcuno le accolga, le faccia proprie, magari trovandoci un riflesso della propria storia.
Se penso ai miei romanzi, non li considero soltanto "mie opere", ma piuttosto porte aperte verso discussioni più ampie: sul significato dell’amore, sul peso delle scelte, sull’urgenza di dare voce a ciò che spesso resta in silenzio.
Perché la letteratura non è mai solo letteratura. È vita che si intreccia alla vita.
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