Molti mi chiedono perché scelgo di raccontare storie difficili, intrise di dolore. La risposta è semplice e complessa insieme: perché è lì, nelle crepe, che si vede la verità.
Scrivere del dolore non significa celebrare la sofferenza. Significa ascoltarla, darle un nome, farle trovare uno spazio in cui esprimersi senza vergogna. Significa tendere una mano a chi, leggendo, potrà riconoscersi e sentirsi meno solo.
Ogni pagina che parla di una ferita è anche una pagina che parla di resistenza. E nei miei romanzi il dolore non è mai fine a sé stesso: è una porta verso la rinascita, anche se piccola, anche se fragile.
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