Illustrazione by Bianca Van Dijk |
Martina e il peso invisibile delle dipendenze: uno sguardo sulla fragilità giovanile
Martina è la protagonista di Del sangue non mi importa, un personaggio che nasce da un terreno difficile e fertile insieme: la ricerca di sé, la mancanza di radici, il bisogno di colmare vuoti troppo grandi con surrogati che non curano davvero. La sua storia, pur essendo una narrazione letteraria, si intreccia con una realtà concreta e dolorosa: la diffusione delle droghe tra i giovanissimi.
Martina: una ragazza come tante, un vuoto più grande di lei
Martina non è un’eroina tradizionale. Non ha armature né difese invincibili. È fragile, segnata da ferite infantili, eppure assetata di vita. La sua scelta di avvicinarsi alla droga non nasce da “curiosità leggera”, ma da una necessità di anestetizzare il dolore, di riempire un silenzio interiore troppo assordante.
In questo, Martina rappresenta tanti ragazzi che vivono nell’ombra: quelli che non gridano il loro malessere, ma che lo lasciano emergere in gesti distruttivi.
La droga come illusione di sollievo
Nella vita reale, così come nel romanzo, la sostanza diventa un rifugio illusorio. Aiuta a dimenticare, a sentirsi parte di un gruppo, a evadere da un mondo che non sembra offrire alternative.
Ma la dipendenza non è mai una scelta lucida: è un inganno che promette leggerezza e lascia soltanto macerie. Martina lo vive sulla sua pelle, e il lettore lo percepisce come un grido silenzioso che rispecchia tante storie vere.
Giovani e dipendenze: uno specchio della società
Oggi, più che mai, la dipendenza dalle droghe tra adolescenti e giovanissimi è una ferita sociale. Le sostanze diventano “normalizzate”, quasi parte di una quotidianità che anestetizza i dolori profondi: famiglie spezzate, solitudini, aspettative troppo grandi.
Martina diventa così simbolo universale: un personaggio di carta che riflette una realtà viva, che chiede ascolto.
Letteratura come strumento di consapevolezza
Il racconto di Martina non vuole soltanto descrivere una caduta, ma aprire un dialogo. I libri hanno il potere di far riflettere senza giudicare, di raccontare senza predicare. Del sangue non mi importa mette il lettore di fronte a una domanda: cosa possiamo fare, come singoli e come comunità, per accorgerci prima delle ferite invisibili che portano i ragazzi verso l’autodistruzione?
Martina non è solo una protagonista, è una voce che parla a nome di tanti. Affrontare il tema della dipendenza non significa soltanto riconoscerne il dramma, ma anche ricordare che dietro ogni ragazzo c’è una storia, una richiesta d’aiuto, un bisogno di amore e di ascolto.