King kong theory– Virginie Despentes: quando la letteratura morde

 

Immagine di copertina del romanzo King Kong Theory

Ci sono libri che non si limitano a raccontare: strattonano, tirano schiaffi, ti costringono a guardarti allo specchio. King Kong Theory di Virginie Despentes è uno di questi. Non un saggio femminista “carino e corretto” da scaffale patinato, ma un urlo, una bestemmia necessaria, un coltello piantato nell’addome del perbenismo.

Despentes non chiede scusa a nessuno. Non indossa veli né maschere: parla di violenza sessuale, pornografia, prostituzione, maternità, potere. Lo fa con un linguaggio che sembra benzina gettata sul fuoco, con l’urgenza di chi non vuole farsi mettere a tacere. Ed è proprio questo che la rende potente: non cerca l’approvazione, non si mette in posa. Scrive per distruggere i miti zuccherosi con cui ci hanno nutrito fin da bambine.

Leggere King Kong Theory è come stare su un ring. Ti ritrovi davanti a una voce che non ha paura di dire: sì, sono stata stuprata, sì, mi sono prostituita, sì, ho guardato e consumato pornografia. E invece di abbassare la testa, Despentes ti guarda dritta negli occhi e ti dice che non c’è nulla da vergognarsi. Che l’indecenza non è nella donna che si racconta, ma in chi pretende di zittirla.

Non è un libro comodo, non deve esserlo. Sporca, provoca, fa arrabbiare. Eppure, se lo lasci entrare, restituisce qualcosa di raro: la sensazione che la letteratura possa ancora essere esplosiva, possa ancora cambiare le regole del gioco.

King Kong Theory non è solo un manifesto femminista. È un manuale di sopravvivenza per chi è stanco di sentirsi raccontare storie accomodanti. È un libro che non si limita a bussare alla porta: la sfonda.

📌 Se pensi che il femminismo sia ancora una faccenda di buone maniere, King Kong Theory ti farà saltare dalla sedia. Leggilo, discutine, condividilo: perché certe verità non vanno sussurrate, ma urlate.