È vero, scrivere significa rivivere, e a volte fa male più che dimenticare. Ma è proprio in questo gesto che trovo una forma di guarigione.
Quando trasformo un ricordo in pagina, non lo subisco più: lo rielaboro, lo guardo da fuori, lo consegno a un personaggio che può viverlo al posto mio. È un modo per liberarmi e, forse, per aiutare altri a sentirsi meno soli nelle proprie ferite.
La scrittura non cancella il dolore, ma lo rende condivisibile. E questo, già da solo, ha un enorme potere di cura.
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